“Appena un 8%”, che detto così potrebbe essere considerato poca roba, una sciocchezza, una cosa di poco conto. “Solo un 8%”, ma anche così la cosa potrebbe sembrare di scarsa rilevanza, di poca importanza. La forma più adatta sarebbe, secondo noi: “Addirittura l’8%” magari accompagnata da un’espressione di soddisfatto stupore. Stiamo parlando di una notizia di un anno fa, giorno più giorno meno, precisamente del provvedimento nazionale che ha innalzato dal 12% al 20% il contenuto di succo d’arancia delle bevande analcoliche prodotte in Italia e vendute con il nome dell’arancia a succo o recanti denominazioni che a tale agrume si richiamino. Aumentare la percentuale di succo d’arancia nelle bevande analcoliche prodotte in Italia di un 8%, facendolo passare dal 12% al 20% quindi i due terzi in più rispetto a quanto previsto dalla normativa precedente che era datata di una sessantina di anni ha avuto un’importanza enorme, tra l’altro festeggiata all’epoca dalla Coldiretti nelle piazze italiane con delle manifestazioni volte ad aiutare i cittadini a leggere le nuove etichette, con dei nutrizionisti e dei veri e propri tutor delle arance per aiutare a riconoscere le diverse varietà. Un’importanza enorme dicevamo, perché innanzitutto il provvedimento è andato incontro a una delle principali esigenze dei consumatori moderni, sempre più attenti al benessere personale, soprattutto quello dei più piccini, la cui percentuale relativa al consumo di bevande gassate è fortemente diminuita negli ultimi anni, dal 48% del 2010 al 36% dello scorso anno, e l’aumento di succo d’arancia nelle bevande contribuisce a diminuire sensibilmente la quantità di zuccheri e coloranti aggiunti, e poi perché si è data una grossa mano ai produttori e alla economia italiana.
L’innalzamento della percentuale di frutta nelle bibite ha salvato circa diecimila ettari di agrumeti italiani, inoltre secondo la Coldiretti ci sono stati e ci saranno effetti positivi anche dal punto di vista paesaggistico, considerando che negli ultimi quindici anni una pianta di arance su tre (31%) scompariva, facendo precipitare di conseguenza anche il reddito dei produttori.
Dopo qualche mese, probabilmente sulla scia di quello precedente c’è stato un altro importante riconoscimento anche per il succo di arancia rossa. La Regione Sicilia (Assessorato all’Agricoltura) ha chiesto e ottenuto prima dalla Commissione nazionale Politiche Agricole e successivamente in Conferenza Stato Regioni, la modifica della direttiva comunitaria in materia di succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione con un provvedimento che ha stabilito che per succo di arancia rossa s’intende l’utilizzo esclusivamente di arance di varietà pigmentate con antocianine superiori a 60 mg/l.
Come detto il risultato ottenuto è di una enorme importanza perché costituisce un tentativo di tutela della qualità dei prodotti italiani e di sostegno all’economia nazionale. Va detto però che è necessario non abbassare la guardia, e che da solo può bastare fino a un certo punto in quanto riteniamo sia necessario anche una normativa che imponga l’obbligo di riportare in etichetta la provenienza del succo utilizzato per realizzare le bevande a base arancia. In Italia arrivano infatti regolarmente 200 milioni di kg di succo di arance straniero che inevitabilmente va poi a finire nelle nostre bevande all’insaputa dei consumatori. Facciamo sempre molta attenzione a quello che mettiamo sulle nostre tavole. Quando compriamo un succo o una bevanda a base arancia, assicuriamoci che stiamo acquistando un prodotto italiano, come la linea Bere Italiano di Skipper della Zuegg, e assicuriamoci di acquistare una bevanda che contiene almeno il 20% di succo e non facciamoci ingolosire dal prezzo più basso comprando bevande che di arancio hanno solo il colore. Compriamo coscientemente, Compriamo Italiano.